Malformazioni artero-venose/ MAV
Il dottor Gianni Vercellio ci spiega cosa sono e come si curano le MAV
Malformazioni artero-venose/ MAV
Il dottor Gianni Vercellio ci spiega cosa sono e come si curano le MAV
Malformazioni artero-venose/ MAV
… a proposito di Marta (nome inventato)
Ha compiuto solo da qualche mese 10 anni. Ha un corpo snello, capelli lunghi scuri e profondi occhi scuri. Sguardo furbetto ed intrigante e un poco teatrale (da grande vorrebbe fare l’attrice). La sua famiglia è del salernitano. Ha una sorella alla quale è legatissima e per tornare al più presto da lei vorrebbe ridurre al minimo la sua permanenza in ospedale. Le suo sofferenze per quel piede così mal messo iniziano da piccolissima. Ed iniziano da piccolissima i numerosi andirivieni su e giù per l’Italia (a Roma, Genova e Milano) alla ricerca di un “centro” specializzato dove si possa correggere quella malformazione congenita vascolare al piede destro. Abbiamo già parlato di lei, finalmente, post emergenza Covid 2019, siamo arrivati alla tanto all’operazione di Marta.
La malformazione del piede di Marta
Si tratta di una malformazione che gli esperti definiscono come “malformazione artero-venosa” o MAV. Non difficile da diagnosticare ma piuttosto rara (e rarissima prima dell’adolescenza) e soprattutto difficilissima da curare. Lo “scherzo” della natura consiste nel fatto che in questo tipo di anomalia vascolare il sangue delle arterie passa direttamente, in quella parte del corpo, nelle vene che si ingrossano a dismisura, diventano animate da fremiti e pulsazioni. Così il piede di Marta diventa col tempo sempre più gonfio. Il dolore e la tensione sulla pelle così distesa diventano insopportabili costringendo la bambina a vivere con la gamba sollevata. Impossibile poi camminare perché il piede piano piano si torce su se stesso ( gli ortopedici lo chiamano piede equino, varo e supinato). Correggerlo non è già di per sé facile. Figuriamoci se poi quel brutto piede deformato irrimediabilmente è la sede di una malformazione vascolare: anche una piccola incisione chirurgica potrebbe causare delle emorragie incontrollabili.
Da molti anni ormai le malformazioni artero-venose si curano principalmente con tecniche radiologiche chiamate “embolizzazioni”. Attraverso sottili cateteri inseriti nell’arteria all’inguine si cerca di arrivare all’interno della malformazione allo scopo di correggere la bizzarra circolazione iniettandovi colle o particelle sintetiche oppure alcool. Peccato che queste tecniche ormai estremamente raffinate raramente però sono risolutive. Dopo un transitorio beneficio il più delle volte i piccoli residui rimasti sembrano riattivarsi come fossero un tumore. Anche la chirurgia, a volte affrontata dopo una procedura radiologica preliminare, sembra poco risolutiva nella maggior parte dei casi e per di più richiede molta esperienza ed un certo sangue freddo da parte di quei pochi chirurghi che si cimentano in queste patologie.
Il piede di Marta durante una visita
Per Marta , che alcuni anni fa ha subito due successive embolizzazioni in un centro specializzato, senza un reale miglioramento, qualcosa bisognava pure fare. Un primo intervento è stato eseguito ad ottobre. Si è trattato di asportare tutto il tessuto vascolare che infiltrava il dorso del piede in mezzo ai tendini e che provocava la distensione delle vene e che era alla base dei dolori continui della nostra Marta.
La seconda tappa, quella per la correzione ortopedica indispensabile, ma procrastinata per il maledetto Covid, si è compiuta ieri con la partecipazione di un grande esperto di ortopedia pediatrica, il prof Nicola Portinaro. L’intervento iniziato alle 14.55 e concluso due ore dopo, è stato condotto in anestesia generale bloccando temporaneamente l’intera circolazione della gamba e del piede con un bracciale posizionato e gonfiato intorno alla coscia.
Con il dottor Gianni Vercellio dopo l’operazione di Marta
Asportati i residui della malformazione al collo del piede e liberati di nuovo i tendini diretti alle dita, si è provveduto ad allungare il tendine di Achille ormai retratto, ad accorciare i tendini estensori delle dita ed infine a fissare all’osso al centro del dorso del piede un grosso tendine (il tibiale anteriore) per raddrizzare il piede. L’intervento si è poi concluso con il confezionamento di una doccia gessata e con un blocco anestetico del nervo sciatico, quest’ultimo da parte dell’anestesista che ci conforta in queste imprese (la dottoressa Giorgia Sortino) per assicurare alla nostra Marta la totale assenza di dolore ed un meritatissimo riposo dopo l’intervento.
La Girandola Onlus
Tutto ciò si è reso possibile,certamente grazie alla professionalità di tutti, infermieri di sala compresi. Le spese per il ricovero e l’intervento sono state a totale carico dell’Associazione Girandola Onlus con la incondizionata collaborazione del Columbus Clinic Center , la cui proprietà si è resa disponibile come in altre occasione a mettere a disposizione la struttura alla nostra Associazione a condizioni davvero particolari.
La spina nella radiografia “indiana” con le dita del chirurgo locale.
La Dott.ssa Letizia Cipolat, socia fondatrice dell’Associazione Girandola Onlus, riceve una chiamata dal lontano Sri Lanka. E’ Elena una solare bellissima e sportivissima ragazza, figlia di una sua amica-paziente, lì in vacanza. Un’onda anomala l’ha catapultata dal surf su di un grosso riccio. Una grossa spina le si è conficcata nella coscia poco sopra il ginocchio. Sulla guida di una radiografia i chirurghi del luogo hanno cercato per ben due volte inutilmente di rimuoverla così la spina finisce ancor più in profondità in mezzo ai muscoli.
La spina estratta
Un WhatsApp ci mostra la radiografia e la ferita chirurgica praticata dai colleghi. Che fare ? Bisogna per forza rimuoverla ? Che fine fanno le spine che vagano fra i muscoli ? Che ci dicono la letteratura scientifica ed i “case reports” in proposito? Beh, sembra che al di là delle infezioni sempre in agguato, la spina possa effettivamente spostarsi ma soprattutto causare delle infiammazioni croniche reattive sotto forma di “granulomi” (almeno dalle pubblicazioni californiane che abbiamo trovato). Bene, allora bisogna rimuoverla chirurgicamente. Ma che figura ci facciamo se poi non la si trova ?
Il puntino nero e’ la spina
Tornata a Milano, Elena si sottopone ad una Risonanza Magnetica nella quale la maledetta spina poco o nulla si vede, all’ecografia neppure. Allora facciamo approntare in sala operatoria un apparecchio radiologico. I tentativi di individuarla con questo mezzo sono però ancora poco confortanti. La sala è piuttosto affollata, il caso incuriosisce. Bisogna oltre a tutto pensare di evitare ferite chirurgiche antiestetiche. La piccola ferita che testimonia il tentativo indiano di rimozione è per di più trasversale e bisogna trasformarla in longitudinale (insomma uno zig-zag) per avere più agio.
Divarichiamo appena la ferita, scolliamo il grasso sottocutaneo e arriviamo alla fascia del muscolo ed ecco che un puntino nero si fa appena vedere … il maledetto aculeo appuntito !
L’estate è ancora lontana … ma attenti sempre ai ricci, anche a quelli nostrani.